Terremoto, che sta succedendo in Emilia Romagna? Il suolo sembra “vuoto” e le case è come se “galleggiassero”…
A proposito di “galleggiamento” sul suolo avvezzo a liquefazione, segnaliamo quest’articolo
di Giampiero Petrucci sul rischio liquefazione in Versilia, con la
spiegazione proprio del senso di “galleggiamento” delle abitazioni.
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13 06 2012
La Versilia come l’Emilia? Il rischio-liquefazione è molto remoto ma teoricamente presente.
http://www.meteoweb.eu/2012/06/la-versilia-come-lemilia-il-rischio-liquefazione-e-molto-remoto-ma-teoricamente-presente/139410/
Giampiero Petrucci, geologo viareggino, è da tempo nostro collaboratore: per Meteoweb ha tra l’altro curato la sezione dedicata agli tsunami italiani e ieri abbiamo pubblicato il suo interessantissimi approfondimento dal titolo “Perché l’Italia trema? Cause e rimedi dei terremoti che affliggono il nostro paese“.
Esperto di monitoraggi ed attento osservatore dei fenomeni naturali
estremi, ha notato diverse analogie tra il territorio emiliano teatro
dei recenti eventi sismici e la Versilia, sua terra d’origine.
Sollecitato da troppe voci discordanti ed allarmistiche in materia di
terremoti, coglie l’occasione per esprimere le proprie opinioni.
Viareggio come Mirandola?
“No, direi proprio di no. Via subito
ogni equivoco, non sono un catastrofista né voglio suscitare allarmi
infondati. Le condizioni tettoniche sono ben diverse. L’Emilia si trova
in prossimità di una zona di contatto tra placche, la Versilia no. Però
qualche analogia tra i due territori effettivamente esiste”.
Quali sono queste analogie?
“La prima è il mare. In Emilia nel
Pliocene, cioè fino a 2 milioni di anni fa, c’era il mare che ricopriva
quasi tutta la Pianura Padana. In Versilia, fortunatamente, c’è ancora”.
Dunque?
“Il mare ha lasciato depositi
generalmente sabbiosi, anche se in Emilia queste sabbie sono, per così
dire, più impure causa le alluvioni del Po che in tempi recenti hanno
portato in superficie altri apporti terrigeni, limosi ed argillosi. Nel
territorio di Viareggio invece, lo dicono anche le numerosissime prove
geognostiche eseguite nel terreno per realizzare le perizie geologiche
associate ad ogni costruzione, le sabbie sono più uniformi e frequenti,
soprattutto nella parte più litoranea e nella porzione più superficiale
di terreno. Non dobbiamo poi dimenticare un’altra particolarità
fondamentale”.
Quale?
“Che nella zona versiliese in epoca
romana il mare si trovava ancora a ridosso delle colline
nell’entroterra, circa 3 km più a monte di adesso. Poi s’è ritirato
progressivamente fino al livello odierno. La maggior parte dell’attuale
territorio di Viareggio ancora nel XVI secolo era ricoperta dal mare o
comunque da terreni paludosi. Un po’ come la Pianura Padana del Pliocene”.
Ma Viareggio è zona sismica?
“Secondo l’ultima classificazione
l’intero territorio comunale rientra sismicamente in classe 3 su una
scala che va da 1 (la più pericolosa) a 4. Dunque, secondo la legge, è
zona a pericolosità sismica bassa, che può essere soggetta a scuotimenti
modesti. Ma anche numerosi Comuni dell’Emilia colpiti dal recente
terremoto, compresi Mirandola e San Felice sul Panaro, rientrano, o
meglio rientravano, in questa classe. E non è l’unica coincidenza”.
Quali sono le altre?
“Le sabbie, questo è il problema. La
stratigrafia, ovvero la composizione del terreno nei primi metri del
sottosuolo, è similare. Sabbie fini, granulometricamente uniformi,
piuttosto porose e poco addensate, con la falda acquifera molto vicina
al piano campagna. Basta pensare cosa succede a Viareggio durante un
nubifragio: spesso le vie si allagano, l’acqua defluisce con difficoltà
perché appunto il terreno è saturo ovvero totalmente pieno d’acqua.
Condizioni ottimali, direi quasi da trattato scientifico, per il teorico
sviluppo della liquefazione”.
Cosa è la liquefazione?
“In questi ultimi tempi se n’è parlato molto, sui giornali, alla tv ed anche su MeteoWeb (vedi qui, e ancora qui, e pure qui e infine qui).
Si tratta di un particolare fenomeno che può verificarsi durante un
terremoto, raro ma ben documentato, sin dall’antichità. In certi
documenti medievali si parla di “terreno trasformatosi in sabbia mista
ad acqua bollente”, come ad esempio accaduto ad Argenta, provincia di Ferrara, nel 1624.
Un altro esempio ben noto si sviluppò nella piana di Gioia Tauro, in
Calabria, a seguito della celebre crisi sismica del 1783. In sostanza le
scosse sismiche alterano l’equilibro del terreno sabbioso dove si
annulla la resistenza al taglio cioè la capacità di sopportare sforzi
che nei terreni incoerenti (quali appunto sabbie e limi) è dovuta
esclusivamente all’attrito tra i singoli granuli. In pratica viene
superato il cosiddetto limite di rottura. In queste condizioni, complice
la presenza di acqua, il terreno si fluidifica ovvero tende a
comportarsi come un liquido od una massa viscosa. L’acqua risale
velocemente fino alla superficie, quasi ribollendo. Provate a mettere in
un secchiello sabbia molto bagnata. Lasciatela riposare qualche
secondo, poi scuotete il secchiello ripetutamente: vedrete l’acqua
arrivare a giorno. Ecco, questa è la liquefazione, uno dei fattori più
tipici di amplificazione degli effetti di un evento tellurico”.
Quanto è pericoloso questo fenomeno?
“Dipende moltissimo dalle situazioni
puntuali in cui si esplica. In aperta campagna, come accaduto in
Emilia, non lascia strascichi particolari. Ma in città sì. Soprattutto
dipende dall’edificio sotto il quale si verifica, dalle sue condizioni,
dalle sue modalità di costruzione e purtroppo a Viareggio deteniamo un
record”.
Quale?
“Quello delle taverne o cantine.
Molte ville e villette costruite dagli anni ’70 fino ai primi anni ’90,
in maniera talora scriteriata e senza il supporto della perizia
geologica (che allora non era obbligatoria come adesso), posseggono un
piano seminterrato che spesso ricopre l’intera area del fabbricato e
talora arriva anche fino a tre metri di profondità. Le fondazioni sono
dunque come una scatola, con un ampio rettangolo di cemento armato alla
base. Questo tipo di fondazioni è detto a platea ed è il peggiore in
caso di liquefazione del terreno”.
Perché?
“Perché l’edificio si trova
completamente immerso nella falda acquifera e quando l’acqua risale è
come se galleggiasse, come una zattera, su un fluido. Poiché spesso gli
edifici di cemento armato sono progettati in maniera asimmetrica, il
fabbricato galleggiante non è in equilibrio, tende ad inclinarsi da una
parte e talora a ribaltarsi, con conseguenze facilmente immaginabili”.
Uno scenario apocalittico
“Non esageriamo. Questi sono
casi-limite, teorici, che abbiamo studiato all’Università trent’anni fa.
Abbiamo però visto anche di recente come, sia pure in situazioni rare e
molto particolari, il fenomeno possa effettivamente verificarsi. Ed il
rischio, per quanto molto remoto, voglio ribadirlo, esiste teoricamente anche in Versilia perché è collegato pure ad altri fattori”.
Quali?
“I palazzi di 8-10 piani, se dotati
di fondazione a platea, sono potenzialmente più esposti agli effetti
della liquefazione rispetto ad una villetta. Proprio per questo i nostri
professori dell’Università, rimasti poi inascoltati, raccomandavano di
costruire in Versilia edifici non troppo alti. A Viareggio, anche sul
viale a mare, esistono invece numerose costruzioni con queste
caratteristiche, pure in periferia dove negli ultimi trent’anni si è
abbondato con l’innalzamento di veri e propri casermoni. Ma l’aspetto
più problematico risiede in Garfagnana, la zona sismica per eccellenza
della Provincia di Lucca. Molti suoi Comuni sono in classe sismica 2.
Negli ultimi 200 anni l’alta Valle del Serchio è stata teatro di diversi
terremoti con magnitudo superiore a 5. Il più disastroso è datato 7
Settembre 1920, quasi 200 morti, diversi paesi distrutti. Un altro, di
magnitudo 5.7 e dunque simile come potenza a quello emiliano, si
verificò nel 1914 e l’epicentro fu posizionato ad appena una ventina di
km da Viareggio. Un evento analogo potrebbe teoricamente, ripeto
teoricamente, gettare le basi per lo sviluppo della liquefazione su
tutto il territorio versiliese dove, come d’altra parte nel resto
d’Italia, ben poco è stato fatto per ovviare agli inconvenienti sismici”.
Di chi è la colpa?
“Dei nostri politici, prima di
tutti. Della loro trascuratezza nei confronti dei problemi ambientali e
della salvaguardia dei cittadini. Abbiamo costruito troppo e male,
soprattutto durante il boom degli anni ’60 quando c’era fame di case per
tutti. Soprattutto abbiamo costruito anche là dove non si doveva: sulle
faglie, su frane quiescenti, alla base di rupi o pendii, sulle rive del
mare, perfino negli alvei dei fiumi. Soltanto dopo le grandi tragedie,
corriamo ai ripari. Dopo Friuli ed Irpinia qualcosa è stato fatto, ma
troppo poco e non sempre in maniera adeguata. La colpa non è certo della
Protezione Civile, tra le migliori del mondo per efficienza ed
organizzazione (grazie anche ai numerosi volontari) negli interventi del
dopo, soprattutto adesso che sono finiti i grandi eventi e le
spettacolarizzazioni. Il nostro problema è il prima, la prevenzione. Lì
siamo veramente troppo carenti: se e quando le leggi esistono, spesso
non vengono applicate oppure, ancora peggio, non si verifica la loro
applicazione sul territorio. E la colpa è anche del Consiglio Nazionale
dei Geologi che non riesce a far capire quanto la figura del geologo sia
fondamentale per la salvaguardia del territorio. Purtroppo siamo
“professionisti di serie B”, da sempre ostaggi di ingegneri ed
architetti i quali, quando sono obbligati a chiamarci per una perizia,
storcono sempre la bocca e spesso dicono che non serviamo a niente o che
costiamo troppo. Poi però, quando la terra trema, si ricordano di noi,
polemizzando sulla previsione dei terremoti o sulle alluvioni
annunciate. E poi ci stupiamo se ogni anno dobbiamo piangere decine di
morti per eventi naturali. Un paese civile non si comporta in questo
modo: la salvaguardia dei cittadini e del territorio dovrebbe essere una
priorità assoluta. Invece, purtroppo, in Italia non lo è mai stata
seriamente, a prescindere da chi ha governato”.
Quali rimedi suggerisce?
“Non sono così esperto da avere
soluzioni, posso solo commentare ciò che vedo. Si dovrebbe chiedere agli
ingegneri, soprattutto agli strutturisti, e dare maggior peso alle
opinioni dei geologi. Certo è che ogni edificio ha una storia a sé. Il
terreno, soprattutto in Versilia dove non mancano pure zone di bonifica,
può cambiare ogni metro e variare dunque repentinamente la sua
resistenza al taglio così come la risposta all’attraversamento di
un’onda sismica. Ecco perché si dovrebbe organizzare una verifica
territoriale più capillare: ciò può certamente essere eseguito con le
nuove costruzioni che, grazie a tecniche antisismiche innovative,
possono resistere a sismi anche di magnitudo elevate. Il grandissimo
problema sono le costruzioni esistenti, soprattutto quelle degli anni
’50 e ’60 che a Viareggio, ed in molte altre parti d’Italia, sono
veramente parecchie. Inoltre molti Comuni sono stati classificati
sismici soltanto dopo il 1984: prima di questa data tutto era permesso
in fatto di costruzioni e molto lo è stato anche fino al luglio 2009
quando, finalmente, è entrato in vigore il nuovo decreto Norme Tecniche
di Costruzione, un vero cambiamento epocale in materia di edilizia in
aree sismiche. Rimane però il fatto che oggi sul territorio nazionale
esistono milioni di edifici, pure pubblici, che non conoscono alcuna
protezione sismica. Teoricamente, per salvaguardarci veramente, dovremmo
riverificare le condizioni strutturali di ogni edificio, gestendolo
tramite una specie di carta d’identità che lo accompagni dalla nascita
alla morte, proprio come un nostro documento personale. Oppure
realizzare mappe multilivello in funzione della profondità, in modo da
conoscere esattamente le caratteristiche del sottosuolo su cui vanno ad
innestarsi, o sono già innestate, le fondazioni di ogni fabbricato in
modo da prendere gli opportuni accorgimenti antisismici. Ma ovviamente è
utopia. Anche stavolta accadrà poco o niente, ci rivedremo alla
prossima catastrofe. E probabilmente faremo gli stessi discorsi”.
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